Il percorso espositivo coniuga la dimensione immersiva ed emozionale al rigore dell’interpretazione storico-critica, snodandosi attraverso un’ampia selezione di opere; i lavori più rappresentativi sono accostati ad altri meno noti e inediti, facendo emergere in una molteplicità di risonanze la sensibilità ambientale, e ambientalista, che sempre sottende alla produzione dell’artista.
L’allestimento comincia già all’esterno, con la suggestiva installazione delle guglie in ferro, concepite da Sciola come omaggio a Antoni Gaudí e alla sua tensione verso l’infinito, per proseguire in maniera organica negli spazi del Castello di San Michele, instaurando un dialogo rispettoso e armonico con le preesistenze storiche del monumento. Varcata la soglia di una seconda installazione – ancora un omaggio, questa volta a Grazia Deledda e alle sue Canne al vento, metafora dell’esistenza umana – i Semi in basalto attraggono definitivamente il visitatore nell’esperienza diretta e profonda dell’arte di Sciola: perfetta sintesi della sua idea di scultura, rappresentano la pietra che feconda la terra, origine della vita e della creatività. Perché «la pietra è natura. E la natura è madre». Dai Semi – impossibile non ricordarli adagiati sul sagrato della Basilica Inferiore di Assisi nel 2008 – germogliano le altre pietre, che prendono forma di Spighe e di Foglie, come quelle allestite nel 2004 al Jardin du Luxembourg di Parigi per il poeta Jacques Prévert.
In un crescendo di intensità e raffinatezza esecutiva, dalle Pietre nude che l’artista ha lasciato pressoché intatte rispetto alla loro conformazione originaria – con un atteggiamento di assoluta essenzialità che richiama Constantin Brancusi – si giunge progressivamente alle Pietre sonore, in basalto o calcare, espressione più nota dell’arte di Sciola, nate dall’intuizione di rendere eloquente e viva quella che per tradizione viene indicata come “pietra muta”. La pietra, invece, racchiude il canto del fuoco e dell’acqua, la magia dei cieli stellati, l’energia dell’universo. È madre, ma anche sorella, in accezione francescana, e arriva a coincidere con un profondo sentimento del sacro: a chiudere il percorso, al piano terra, la pietra suonata dallo scultore – appena qualche settimana prima della sua scomparsa – in San Pietro Vincoli, a Roma, davanti al Mosè di Michelangelo.
Al piano superiore del Castello la mostra assume un andamento nuovo, funzionale ad approfondire il modo in cui le opere di Sciola interpretano e abitano il paesaggio, non solo naturale ma anche urbano. Le Vele, così come le piccole figure in terracotta dei Bagnanti rivelano attenzione, interesse e amore per una Sardegna fatta di pietra, di terra e di mare insieme, sulla linea di un orizzonte che dall’Isola non cessa mai di guardare verso l’altrove, e verso l’altro. Un’intera sezione, infine, è rivolta ad analizzare l’aspetto più propriamente “costruttivo” insito nell’arte scioliana, in virtù del quale la scultura diventa essa stessa paesaggio, architettura, città.
Particolarmente rilevante la presenza di un ricco corpus di oltre cento disegni, fotografie e scritti relativi alla progettazione di installazioni scultoree negli spazi pubblici della città di Cagliari, materiali molti dei quali vengono presentati qui per la prima volta. La loro esposizione costituisce l’anteprima di un più ampio progetto itinerante che vedrà presto la luce, denominato “I luoghi di Sciola”, ideato e coordinato da Maria Sciola. In una serrata e affascinante unità di pensiero, la natura, la scultura e la città appaiono dunque strettamente connesse tra loro: a partire dal legame privilegiato durato tutta una vita con il suo paese natale, San Sperate, Sciola estende a differenti contesti una concezione etica ed estetica del fare artistico, in cui i valori ambientali e ambientalisti si saldano alle istanze sociali. Accade, così, che la natura diventi comunità.